Discorso del Primo Ministro Giorgia Meloni alla 78a Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Discorso del Primo Ministro Giorgia Meloni alla 78a Assemblea Generale delle Nazioni Unite

 

Signor Presidente,
Signor Segretario Generale,
Colleghi,
Signore e Signori,

è per me un onore rappresentare l’Italia davanti a questa Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un onore che però non è leggero come un privilegio, ma pesante come il peso della responsabilità.

Viviamo in tempi complessi, di continue emergenze e cambiamenti, e non possiamo permetterci il lusso di parole di circostanza, di principi alti mai realizzati, di scelte facili al posto di quelle giuste.

Dobbiamo guardare al significato profondo di ciò che ha dato vita a questo luogo, la Comunità delle Nazioni e dei Popoli che si riflette nella Carta delle Nazioni Unite del 1945, nata per trovare soluzioni condivise che potessero garantire pace e prosperità.

Le premesse fondamentali che danno senso a queste sale sono essenzialmente due.
Da un lato, ci sono le Nazioni che esistono perché riflettono il bisogno innato dell’uomo di sentire un senso di appartenenza a una comunità, a un certo popolo e di poter condividere con altri la stessa memoria storica, le stesse leggi, gli stessi usi e costumi. In una parola: la propria identità.
Dall’altro lato, c’è l’aspirazione di queste Nazioni, diverse tra loro, a trovare un luogo dove risolvere le controversie internazionali attraverso uno strumento forse più difficile da usare, ma sicuramente più efficace del ricorso alla forza, cioè lo strumento della Ragione.

Se queste due premesse, la Nazione e la Ragione, sono ancora il fondamento della nostra azione, allora dobbiamo respingere la narrazione utopistica ed egoistica di chi sostiene che un mondo senza Nazioni, senza confini e senza identità, sarebbe un mondo senza guerre e conflitti. Altrettanto ferocemente, dobbiamo impedire il ritorno all’uso della forza come strumento per risolvere i conflitti internazionali.

La guerra di invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci dice proprio questo: che su chi vuole riportarci in un mondo di dominio, di guerre neo-imperiali, che pensavamo di aver eliminato nel secolo scorso, la Ragione può ancora prevalere e l’amor di Patria, il valore della Nazione, possono ancora essere salvaguardati oltre l’inimmaginabile.

Sta a noi, a ciascuno di noi, decidere da che parte della storia stare, in coscienza. Ma non illudiamoci, perché la posta in gioco è questa: la scelta tra Nazione e Caos, tra Ragione e Prevaricazione.

L’Italia ha fatto una scelta chiara su dove stare. Lo ha fatto per senso di giustizia e perché è consapevole di quanto sarebbe difficile governare un mondo in cui ha la meglio chi bombarda le infrastrutture civili sperando di mettere in ginocchio un popolo con il freddo e il buio, chi arma l’energia e ricatta i Paesi in via di sviluppo, bloccando le esportazioni di grano, la materia prima necessaria per sfamare milioni di persone.

Le ripercussioni del conflitto in Ucraina ci travolgono tutti come un effetto domino, ma colpiscono soprattutto le nazioni del Sud del mondo. È una guerra condotta non solo contro l’Ucraina, ma contro le nazioni più povere.

L’attenzione dell’Italia è rivolta in particolare all’Africa, dove Paesi già assediati da lunghi periodi di siccità e dagli effetti del cambiamento climatico, si trovano ora ad affrontare una situazione aggravata dall’insicurezza alimentare, che li rende più vulnerabili all’instabilità e più facili prede del terrorismo e del fondamentalismo.

E questa è una scelta. Creare il caos e diffonderlo. E in questo caos che produce decine di milioni di persone potenzialmente in cerca di migliori condizioni di vita, si infiltrano reti criminali che approfittano della disperazione per generare profitti economici.

Sono i trafficanti di esseri umani che organizzano il commercio dell’immigrazione clandestina di massa. Ingannano chi si affida a loro per migrare alla ricerca di una vita migliore, facendogli pagare migliaia di dollari per viaggi in Europa che vendono con depliant, come se fossero normali agenzie di viaggio, ma quei depliant non dicono che quei viaggi troppo spesso possono portare alla morte, a una tomba in fondo al Mar Mediterraneo. Perché a loro non importa se l’imbarcazione utilizzata è inadatta o meno per quel tipo di viaggio, l’unica cosa importante per loro è il margine di profitto.

Sono queste le persone che, grazie a un certo approccio ipocrita al tema dell’immigrazione, si sono arricchite a dismisura. Noi vogliamo lottare contro la mafia in tutte le sue forme; e lotteremo anche contro questo. Il fatto è che la lotta alla criminalità organizzata dovrebbe essere un obiettivo che ci accomuna tutti e che investe anche le Nazioni Unite.

Può un’organizzazione come questa, che nel suo atto costitutivo ribadisce “…la fede nella dignità e nel valore della persona umana…” chiudere gli occhi di fronte a questa tragedia?

Possiamo davvero fingere di non vedere che nessun’altra attività criminale al mondo oggi è più redditizia del traffico di migranti – quando sono gli stessi rapporti delle Nazioni Unite a mostrare come questo business abbia raggiunto – per volume di denaro – lo stesso livello del traffico di droga e lo abbia ampiamente superato?

Può questa Assemblea delle Nazioni Unite, che in altri tempi è stata fondamentale per sradicare definitivamente il crimine universale della schiavitù, tollerare oggi il suo ritorno sotto altre forme, che la commercializzazione della vita umana continui, che ci siano donne portate in Europa costrette a prostituirsi per ripagare l’enorme debito contratto con i loro trafficanti, o che ci siano uomini spinti nelle mani della criminalità organizzata?

Possiamo davvero dire che è solidale accogliere, come priorità, non chi ha veramente diritto, ma chi può permettersi di pagare questi trafficanti, per permettere a questi criminali di stabilire chi ha diritto di essere salvato e chi no?

Non credo, e credo che sia dovere di questa organizzazione rifiutare qualsiasi approccio ipocrita a questo problema e condurre una guerra globale senza pietà contro i trafficanti di esseri umani.

E per farlo, dobbiamo lavorare insieme a tutti i livelli. L’Italia intende essere in prima linea su questo tema.

Con il Processo di Roma, lanciato a luglio con la Conferenza su Migrazioni e Sviluppo, abbiamo impegnato le nazioni mediterranee e diverse africane in un percorso che segue due strade principali: sconfiggere i mercanti di schiavi del Terzo Millennio e, allo stesso tempo, affrontare le cause profonde delle migrazioni, con l’obiettivo di garantire il primo dei diritti, cioè il diritto di non dover emigrare, di non essere costretti a lasciare la propria casa, la propria famiglia, a tagliare le proprie radici, e di poter trovare nella propria terra le condizioni per realizzarsi.

Anche in questo caso, dobbiamo avere il coraggio di dire le cose come stanno. L’Africa non è un continente povero. Al contrario, è ricco di risorse strategiche. Possiede la metà dei minerali del mondo, comprese le abbondanti terre rare, e il 60% delle terre coltivabili che spesso non vengono utilizzate. L’Africa non è un continente povero, ma è stato spesso, ed è tuttora, un continente sfruttato. Troppo spesso gli interventi delle nazioni straniere nel continente non hanno rispettato le realtà locali. Spesso l’approccio è stato predatorio e, nonostante questo, persino paternalistico.

Dobbiamo cambiare rotta. L’Italia vuole contribuire alla costruzione di un modello di cooperazione capace di collaborare con le nazioni africane per farle crescere e prosperare grazie alle grandi risorse che possiedono. Una cooperazione da pari a pari, perché l’Africa non ha bisogno di carità, ma di essere messa nelle condizioni di competere alla pari, su investimenti strategici che possano legare i nostri futuri con progetti reciprocamente vantaggiosi.

In questo modo possiamo offrire un’alternativa seria al fenomeno delle migrazioni di massa; un’alternativa che sia lavoro, formazione, opportunità per le nazioni di origine e percorsi di migrazione legale e concordata, e quindi integrabile.

Saremo i primi a dare il buon esempio attraverso il “Piano Mattei per l’Africa”, un piano di cooperazione allo sviluppo che prende il nome da Enrico Mattei, un grande italiano che ha saputo bilanciare gli interessi nazionali dell’Italia con i diritti degli Stati partner a testimoniare il proprio momento di sviluppo e progresso.

Il punto focale è che dobbiamo avere il coraggio di rimettere l’uomo e i diritti umani al centro della nostra azione. Sembra un principio ovvio, ma non è più così. I Paesi sono invasi, la ricchezza è sempre più concentrata, la povertà è dilagante, la tratta degli schiavi sta riemergendo: tutto questo sembra pronto a mettere a rischio la sacralità dell’essere umano.

Anche ciò che a uno sguardo superficiale sembrerebbe uno strumento in grado di migliorare il benessere dell’umanità, a uno sguardo più attento può rivelarsi un rischio.

Basti pensare all’intelligenza artificiale. Le applicazioni di questa nuova tecnologia possono offrire grandi opportunità in molti campi, ma non possiamo far finta di non capire i suoi enormi rischi intrinseci.

Non sono sicura che siamo adeguatamente consapevoli delle implicazioni di uno sviluppo tecnologico il cui ritmo è molto più veloce della nostra capacità di gestirne gli effetti.

Eravamo abituati a un progresso che mirava a ottimizzare le capacità umane, mentre oggi abbiamo a che fare con un progresso che rischia di sostituire le capacità umane. Perché, se in passato questa sostituzione si concentrava sui compiti fisici, in modo che l’uomo potesse dedicarsi al lavoro intellettuale e organizzativo, oggi l’intelletto umano rischia di essere sostituito, con conseguenze che potrebbero essere devastanti, soprattutto per il mercato del lavoro. Sempre più persone non saranno più necessarie, in un mondo sempre più dominato dalle disparità, dalla concentrazione di potere e ricchezza nelle mani di pochi.

Non è questo il mondo che vogliamo – ed è per questo che non dobbiamo confondere questo dominio con una zona franca senza regole. Abbiamo bisogno di meccanismi di governance globale che garantiscano che queste tecnologie rispettino i confini etici; che l’evoluzione tecnologica sia messa al servizio dell’umanità e non viceversa. Dobbiamo garantire l’applicazione pratica del concetto di “Algor-etica”, cioè di etica per gli algoritmi.

Questi sono alcuni dei grandi temi che l’Italia intende mettere al centro del G7 del 2024. Ma si tratta soprattutto di questioni di competenza delle Nazioni Unite.

Sono sfide enormi che non potremo affrontare se non riconosciamo anche i nostri limiti, come nazioni e come parte del sistema multilaterale. Per questo l’Italia sostiene la necessità di una riforma del Consiglio di Sicurezza che lo renda più rappresentativo, trasparente ed efficace. Un Consiglio che possa garantire una più equa distribuzione geografica dei seggi e che possa rafforzare anche la rappresentanza regionale; che esca da un ordine congelato nel tempo, stabilito dagli esiti di un conflitto terminato ottant’anni fa, in un altro secolo, in un altro millennio, in modo che tutti abbiano la possibilità di dimostrare il proprio valore nel momento attuale.

Su queste e molte altre questioni, saremo messi alla prova nella nostra capacità di governare il nostro tempo, e nella nostra capacità di fare ciò che qui in questa sala, il 2 ottobre 1979, un grande uomo, santo e statista, Papa Giovanni Paolo II, ha ricordato: cioè che l’attività politica, sia essa nazionale o internazionale, proviene “dall’essere umano”, è praticata “dall’essere umano” ed è destinata all'”essere umano”.

Grazie a tutti per l’attenzione.

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