Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – 25 novembre 2023

In occasione della Giornata Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne di oggi 25 novembre, UNRIC Italia è lieta di condividere la favola di Agnese Bizzarri

 

 

Care bambine e bambini,

Oggi è la giornata per la eliminazione della violenza contro le donne. Sapete cosa vuole dire “violenza”?

La parola deriva dal latino, ha la sua origine in vis, che indica ciò che vince, opprime, distrugge.

 

Sapete cosa vuole dire invece “amore”? Dal latino amor – oris: sentimento di viva affezione verso una persona, che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia. In sanscrito kama, che significa dire desiderio, passione.

 

Un uomo gentile e dolce confortava e supportava un gruppo di donne. Perché, dovete sapere, contro di loro si erano compiute violenze atroci da parte di alcuni uomini senza umanità e nessuno si spiegava il perché e il come.

 

L’amore e le donne non hanno niente a che vedere con vis. C’era stato un errore, un terribile errore che aveva portato a tragedie interminabili, a lutti, a uccisioni ingiustificate.

Si erano in qualche modo confuse le cose? Perché alcuni uomini avevano fatto questo? Perché avevano ucciso le loro compagne, mogli, fidanzate?

 

Perché chi doveva amare, accogliere, ascoltare, rassicurare invece maltrattava, gridava, opprimeva, perseguitava e uccideva? Uccideva le donne e con loro l’amore, il rispetto, la vita e ogni ideale.

 

L’uomo pensò e ripensò tutta la notte perché quel modo di vivere bruto e assassino non aveva nulla a che fare con l’amore e lui doveva trovare una soluzione. Chiamò a lavorare insieme a lui tanti bambini. Con fatica, impegno e mille dizionari aperti, perché le parole sono azioni, iniziarono a dettagliare tutte le definizioni appropriate dell’amore: rispetto, dedizione, desiderio, passione, condivisione, intimità, scambio, voglia di stare insieme, sintonia, affinità, gioia.

 

Ma alla fine aggiunsero una parola che si pensava fosse meno importante ma lo era moltissimo: sofferenza.

 

E da lì iniziò a parlare ai bambini: “Per amore si soffre. Una sofferenza che fa piangere, fa disperare, fa ammattire. Per amare ci vuole coraggio. Nessuno ha il diritto, se non è capace di soffrire, di uccidere”. Accompagnare nel capire la propria sofferenza, nell’elaborarla, nel trasformarla avrebbe aiutato.

 

“Amare”, come diceva qualcuno, è “dare qualcosa che non hai a qualcuno che non conosci”.

“Quando l’amore sarà finito, l’amore sarà comunque eterno perché avrai donato una parte di te.

 

Chi non è disposto a soffrire non inizi un amore. Un amore sano sa soffrire senza uccidere, sa accettare che l’amore può finire, sa vincere la frustrazione del possibile rifiuto, della fine.

Essere capaci di vivere un amore anche se finisce aiuta invece a crescere, a conoscersi, a valutare ciò che si cerca e desidera dalla vita.

 

Dalla fine di un amore può nascere qualcosa d’altro, di nuovo, di straordinario.

Dalla violenza nasce solo dolore, morte, sangue, tragedia, scempio.”

 

I bambini presero colori e pennelli e dipinsero d’oro alcune crepe nei muri davanti a loro. Volevano celebrare, come nell’arte giapponese, la resilienza e l’accettazione delle imperfezioni. Solo così avrebbero amato in modo coraggioso, senza paura, rabbia, violenza, tragedia.

Avrebbero amato.

 

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